È in arrivo un altro Fidel Castro
di ALBERTO MINGARDI
28.11.04 | L’ esplosione della vicenda ucraina ci ha ricordato quanto sia difficile e duro il cammino della libertà politica. Dovremmo trarne una lezione: non c’è solo il Medio Oriente, la dubbia necessità d'esportare la democrazia in punta di baionetta, il battibecco ideologico come risposta e complemento al balletto degli interessi. Ci sono anche realtà più silenziose, magari a noi più vicine, dove la violenza politica è una miccia appicciata.
Prendiamo il Venezuela, Paese di 22 milioni di abitanti, di cui il 10% sono italiani, la più importante comunità di immigrati. Si tratta di una terra ricchissima di risorse, a cominciare dal petrolio, saldamente in mano allo Stato: è il quinto produttore al mondo ed il primo fornitore di greggio degli Usa. Nel contempo, la povertà è devastante, anzi la situazione si aggrava mese dopo mese, mangiandosi ciò che resta di una classe media un tempo significativa per dimensione ed imprenditorialità. Dopo quarant’anni di democrazia coi suoi alti e bassi, il Venezuela è ora in una fase di transizione verso il socialismo reale.
Dal ’98 - quando è sceso in campo il colonnello Hugo Rafael Chavez Frias, già protagonista di un golpe fallito nel ’92. Chavez s’impone usando il vocabolario del populismo più bieco, scommette sulla disperazione, sulla sete di rivalsa di una società economicamente sfiancata. È affezionato alla divisa, allo stereotipo dell’uomo forte che si tiene cucito addosso. Guarda a Cuba. A parte il capitombolo di un mese fa, Castro è vivo e in ottima salute, e nonostante il curriculum di autocrate, la scarsa propensione al rispetto dei diritti delle minoranze (ne sia misura una famosa arringa di suo fratello Raul: «non è vero che non c’è libertà di parola a Cuba, io sto parlando, qui, ora!»), resta un mito della sinistra. L’unico che sa tener in piedi, e se serve il pugno di ferro che lo usi, un’enclave comunista, per giunta a poche bracciate dalla costa americana.
Chavez studia Castro, ne è amico, vuole seguirne le orme. Negli ultimi cinque anni, proprio per questo il Venezuela si è riaffacciato sulle pagine dei giornali: scontri a fuoco, un colpo di stato tentato senza successo, più di due mesi di sciopero generale, la lenta metamorfosi in Stato (socialista) di polizia. Dove Chavez sorveglia col fucile spianato la metà del Paese che non la pensa come lui. Anche il referendum di agosto, che avrebbe potuto costare al Presidente se non la poltrona almeno quella patina residuale di legittimità di cui ancora si fa forte, è finito in farsa. La truffa elettorale si è consumata sotto gli occhi degli osservatori internazionali. Intanto la criminalità è alle stelle, l’economia in perpetua bancarotta (ma siccome non c’è neppure una striminzita possibilità di attribuirne la colpa al solito “liberismo selvaggio”, tutti zitti), gli investitori stranieri stanno alla larga, a molti non resta che giocarsi la carta dell’emigrazione.
La famiglia di uno dei miei più cari amici vive a Caracas, e le parole non riescono a rendere più ancora della rabbia: lo smarrimento, il senso di abbandono. Pensate. Sono culturalmente figli d’Occidente, nostri fratelli di sangue, e li abbiamo lasciati avvizzire nel cassetto dei ricordi, li abbiamo scacciati dai nostri pensieri con fastidio. Non è questo il terreno su cui si vincano o perdano battaglie ideologiche esaltanti. Servirebbe solo il coraggio della prudenza, la logica del danno minore, il salvataggio di quel poco di libertà che rimane. La diplomazia al servizio di una causa. C’è un bellissimo documentario dell’oggettività e della grande produzione giornalistica, che racconta questo dramma. S’intitola “Cual Revolucion?”, è stato realizzato da Oscar Lucien e Carlos Oteyza per “Ciudadania activa”. Un’associazione della società civile nata nel 2001 per costruire, fra mille difficoltà, un futuro per il Venezuela. È disponibile in Italia grazie a Leonardo Facco Editore e SiRoma, lo si acquista on line sul sito www.libertari.org.
Non spetta a chi scrive dare consigli per gli acquisti. Ma certo sarebbe importante che questo documento raggiungesse un pubblico ampio, che diventasse principio di dibattito. Per combattere i nemici della libertà, bisogna anzitutto saperne il nome
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