Qui Venezuela: “Aiutateci”
di Vincenzo R. Spagnolo
EMIGRAZIONE - Una nazione al collasso dove vivono un milione di immigrati italiani travolti da una crisi economica, politica e sociale. Chiedono aiuti per non soffrire la fame. Negli ultimi 4 mesi le richieste di aiuto al Consolato italiano sono passate da 1800 a 2500. La Spagna invia ai propri concittadini assegni sociali “Io voglio lavorare. Sono ancora giovane, conosco il mio mestiere, ma non trovo lavoro…”. Rocco Simone, classe 1946, è di Altamura, in provincia di Bari. In Venezuela è arrivato coi genitori, 47 anni fa. Calzolaio esperto, ha sempre lavorato in fabbriche di scarpe. Tre anni fa, ha perso il posto durante le prime avvisaglie della crisi che attanaglia il Paese. Ora è tre giorni a settimana in una piccola azienda calzaturiera di Caracas, anch’essa a rischio chiusura. La paga è di 30mila bolivares a settimana, 18 dollari al cambio ufficiale. Con quei soldi, e con un piccolo sostegno del Consolato italiano (circa 90 dollari ogni sei mesi) Simone sopravvive da solo, senza telefono, in un appartamento di Las Flores de Catia: i suoi quattro figli hanno già lasciato casa e così, per ridurre le spese, si reca ogni tanto alla mensa della Missione cattolica italiana, nel quartiere La Florida. Ed è lì che bisogna andare se si vuole capire quanto il tracollo del Paese abbia inciso sulle vite dei nostri connazionali.
La mensa della Fondazione Madonna di Pompei è nata per volere di padre Sergio, padre Zelindo e da signore di buona volontà, come Maria Grande e Maria Coletta. Da dicembre 2002, due volte al mese, in un salone, vengono messi tavoli e sedie per 160 persone, «ma spesso ne arrivano più di 200 e si cerca di dar da mangiare a tutti" I soldi per il cibo e qualche medicina sono frutto di donazioni. Fra i tavoli uomini e donne, piemontesi, campani, abruzzesi, con facce di lavoratori anziani e l’abito dei giorni di festa, anche se un po’ sdrucito. C’è chi è stato licenziato, chi ha bruciato i risparmi per curarsi una malattia e chi, pur avendo un appartamento, non è in grado di pagare le bollette o il condominio. Fra i tavoli, tutti hanno un estremo pudore a chiedere aiuto. Solo un sommesso e corale “dateci una mano”, fra la tristezza e la speranza di non essere abbandonati.
C’è Vito, 66enne originario di Lucca, Gaetano, 71enne di Salerno, Salvatore, 70enne siciliano. C ‘è Gennaro, napoletano, classe 1936, quattro figli e moglie venezuelana: già operato al cuore, ha bisogno di altre cure urgenti, che non può ottenere perché gli ospedali pubblici sono al collasso e quelli privati troppo costosi.
Ma le storie sono tante. I volontari di alcune associazioni italo-venezuelane hanno redatto un dossier con nomi, cognomi e circostanze, per sottoporlo all’attenzione del Ministro per gli italiani all’estero, Tremaglia. “In Venezuela vive oggi oltre un milione di italiani, emigrati negli anni Cinquanta e Sessanta, senza contare i loro figli e nipoti”, spiega Nunzia Auletta, di GentexVenezuela. “I cittadini iscritti al consolato italiano sono circa 300mila, ma ormai molti altri si stanno rivolgendo alle nostre autorità in cerca di aiuto”, aggiunge Francesca Granchelli.
Tra i casi più urgenti “c’è quello del signor Giuseppe Leopardi, 63enne abruzzese di Sulmona, che ha perso il lavoro con la crisi. Ha moglie e quattro figli, tra cui Axel, 25enne disabile, che necessita di cure costose e costanti, alle quali l’Ivss, la previdenza sociale venezuelana, non è più in grado di contribuire”. Oppure c’è la signora Filide Marzano, 72enne di Bussi sul Tirino (Pescara), che soffre di diabete e vive in una stanzetta senza servizi in un barrio povero di Caracas, con due nipotini di 8 e 10 anni, lasciatigli dalla figlia. Appena saputo della situazione di Filide, aggiunge Francesca, “il comune di Bussi ha stanziato 2500 euro - già consegnati - per aiutarla”. Ma si tratta di una goccia nel mare. Negli ultimi 4 mesi, le richieste d’aiuto presso l’ufficio Assistenza sociale del Consolato italiano sono passate da 1800 a 2500. Ma l’ufficio, nonostante la buona volontà dei pochi funzionari, riesce ad aprire solo tre volte a settimana. Fuori dal Consolato, le file iniziano alle 4 di mattina e l’attesa di un appuntamento per il passaporto può durare fino a 8 mesi: “Molte di queste persone hanno saputo che il governo spagnolo invia ai propri cittadini disagiati in Venezuela assegni sociali e d’invalidità. E ora si chiedono perché l’Italia non faccia lo stesso - raccontano Barbara Bessone e Ana Stefanelli, di GentexVenezuela, -. Ma noi, a questa domanda, non sappiamo come rispondere”.
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